nù erotika

Andrea Ceccarelli | Ottobre, 2023 | them


Che cos’è nù erotikà?

nù erotikà nasce come una piccola collezione di underwear; capi realizzati artigianalmente che, al di là della loro funzione estetica, rappresentano un pretesto che utilizzo per tentare di riflettere sull’importanza della cura di sé, dell’identità, del corpo e della fragilità.

Materie prime organiche, fragili, simboleggiano l’anatomia corporea, la pelle, nella sua umana verità. Un intimo che invita alla sosta, alla contemplazione. Il tentativo di rivolgere lo sguardo verso se stessi e al proprio interno, ma anche di capovolgerlo sull’esterno, andando al di là di ciò che semplicemente appare; per tentare di rendere visibile l’invisibile.

Mi piace descrivere nù erotikà come un luogo di decolonizzazione dell’immaginario; uno spazio creativo che spero possa essere spunto per tentare, a partire dalla nostra pratica di vita, di immaginare diversamente la maniera in cui abitiamo e facciamo esperienza del mondo. L’eros – sebbene il termine sia comunemente ricondotto alla dimensione sessuale – si ispira al concetto greco con cui usava designare quel principio divino che incessantemente istiga alla bellezza. Il riferimento quindi è all’erotismo come forza vitale, un incessabile moto verso tutto ciò che stimola il piacere umano: la fantasia, la creatività, l’entusiasmo e il desiderio.

Materie prime organiche, fragili, simboleggiano l’anatomia corporea, la pelle, nella sua umana verità. Un intimo che invita alla sosta, alla contemplazione.

Ci racconti com’è nata l’idea del progetto?

nù erotikà è essenzialmente un progetto autobiografico, nato dal desiderio e dall’urgenza di dar vita a una spazio che rappresentasse il mio mondo interiore, immaginando mondi altri e tentando di abbattere quelle barriere che spesso separano ambiti disciplinari solo apparentemente distanti. In particolare l’aver constatato come i settori creativi siano spesso imprigionati all’interno di rigide logiche razionali, mosse unicamente dall’imperativo capitalistico dell’efficienza, ha suscitato in me il desiderio di immaginare uno spazio dove poter esprimere la creatività in maniera libera, dove poter sperimentare la possibilità di una creatività ‘pensante’. Si è trattato di una necessità, emersa con tutta la sua forza negli ultimi anni, che ha coinciso con un momento importante della mia vita, in cui ho provato ad abbandonare la vecchia me per provare ad esplorare parti altre. È così che mi sono avvicinata all’analisi, prima, e all’avventura dell’Analisi Biografia a Orientamento Filosofico, poi. È così che ho riscoperto l’importanza di esplorare quello spazio leggero – privo di distanze – tra il sogno, e la vita, il desiderio e lo spazio del quotidiano, di cui possiamo allenarci a cogliere lo straordinario. È il risultato delle due parti che mi animano, una attratta dalla riflessione e dalla contemplazione, l’altra da sempre interessata agli aspetti visibili dell’esistenza.

Parli di “sostenibilità dell’esistenza”, puoi spiegarci cosa significa per te vivere un’esistenza sostenibile?

Credo che il concetto di sostenibilità, preso in prestito all’ambito scientifico, sintetizzi perfettamente l’urgenza di questo tempo: è sostenibile qualcosa di cui possiamo sostenere il peso, la forza, la pressione. Parlare di esistenze sostenibili significa quindi occuparci di quel modo di organizzare la vita, di dare forma alla vita, che possiamo sostenere. Comportamenti e modi di vivere che rispettino il corpo, la natura, gli esseri viventi tutti, e che, abbandonando ogni desiderio di eccesso, garantiscano una equa distribuzione di beni e risorse perché ognuno possa disporre di quanto necessario a condurre un’esistenza libera e armonica.

È sostenibile qualcosa di cui possiamo sostenere il peso, la forza, la pressione. Parlare di esistenze sostenibili significa quindi occuparci di quel modo di organizzare la vita, di dare forma alla vita, che possiamo sostenere.

Come possiamo tentare di agire sul mondo attraverso la nostra pratica di vita?

Partire dalla consapevolezza del gesto, delle nostre pratiche quotidiane e dell’importanza di rallentare e continuare a sentire in un mondo che ci vorrebbe immersi in un frenetico frastuono anestetizzante. Credo nelle impercettibili attivazioni personali, che hanno a che fare con cose semplici, fatte con attenzione. L’esercizio quotidiano deve essere conservato come modalità insostituibile per agire nel presente, nel tentativo e nella speranza di migliorarlo concretamente.

Il tuo progetto è un ibrido tra creatività e riflessione filosofica e sociale, puoi spiegarci che nesso esiste, per te, tra queste dimensioni?

Mi piace pensare che nù erotikà si situi a metà, sulla soglia, tra sguardo sociologico e collettivo e indagine personale. Allo sguardo sulla realtà si affianca una riflessione più intima, indissolubilmente legata alla propria biografia. Un continuo andare e venire, dall’individuale e intimo al collettivo, dall’interno verso l’esterno, che si trasforma in un invito alla sosta, all’attenzione sottile, a rendere udibile e ascoltato ciò che, altrimenti, rimarrebbe invisibile. Una riflessione è dedicata poi al tema del lavoro e alla potente alienazione prodotta da quelle attività scandite da ritmi, modalità, mancato coinvolgimento nel processo, e conseguente impossibilità di intravvedere un senso che va nella definizione di una moderna schiavitù. Il desiderio è che il lavoro possa non essere più legato alla mercificazione della vita, o alla riduzione dell’essere umano alla sua capacità di produrre, ma che possa davvero liberare, non sia più oppressione ma sempre corrispondere, o lasciare spazio, al nostro desiderio. Come diceva Simone Weil, non c’è contraddizione tra il dovere di riflessione e le necessità pratiche della vita, al contrario c’è un rapporto circolare, perché non si può agire e senza sapere cosa si vuole, e senza conoscere gli ostacoli da superare: la relazione corpo-mente era per lei molto chiara.

Un continuo andare e venire, dall’individuale e intimo al collettivo, dall’interno verso l’esterno, che si trasforma in un invito alla sosta, all’attenzione sottile, a rendere udibile e ascoltato ciò che, altrimenti, rimarrebbe invisibile.

Come possiamo immaginare nuovi modi dell’essere e vivere in relazione?

Credo che, in particolare in questo periodo storico, dominato da un eccesso di desiderio, stimoli, oggetti, occorra riflettere sul nesso esistente tra la bellezza estetica – del corpo, o di un oggetto – con una necessaria attenzione per le altre persone – gli altri corpi – e le altre ‘cose’ del nostro ambiente, sociale e naturale, che reciprocamente danno senso al nostro essere al mondo. Solo così potremmo tentare di smettere di combatterci, come ci hanno insegnati decenni di politica neoliberista, per ascoltarci, confortarci, osservarci, curarci vicendevolmente. Il processo di cura parte da noi ma si sviluppa attraverso l’esperienza con l’altro.

Perché parlare di cura sembra così urgente?

Intendo la cura di sé come una connessione profonda con se stessi, col proprio corpo, la propria mente e gli altri esseri viventi attorno a noi. Una forma di attenzione per le cose del mondo che, a partire da noi, si dispiega rendendoci consapevoli delle nostre percezioni, della nostra fragilità, per poterla riconoscere negli altri. Tutto necessita di cura, e credo che, a partire da una più profonda percezione di sé si possano produrre degli effetti positivi tangibili sul nostro modo di vivere insieme. Credo sia importante da questo punto di vista prendere consapevolezza di come solo a partire dalla cura di sé, e dalla propria esperienza biografica, sia possibile arrivare alla cura del noi. Il progetto si declina, oltre alla dimensione creativa, nella proposta di alcune sezioni di pratica somatica, focalizzata sul metodo pilates. Lo scopo è quello di proporre uno spazio e un tempo di riconnessione col proprio corpo, parte fondante dell’esperienza vitale. Pratica corporea intesa al di là di una prospettiva puramente edonistica, ma con una forte aderenza a tutte quelle “pratiche del sentire” che favoriscono l’ampliamento di quello sguardo che ci permette di sentire, attraverso il corpo, l’altro come simile a noi. Anche in questo caso è forte al dimensione autobiografica: la danza e il movimento sono stati da bambina il mio primo amore, e ho sempre sentito, anche nell’approccio alla filosofia, o alla psicoanalisi, il bisogno di partire dal corpo, che rappresenta quanto di più prossimo abbiamo per poter prendere coscienza del mondo. È sempre dal corpo che sento il bisogno di partire. Proprio ora rifletto su come nù sia da intendersi come un percorso in continua evoluzione, che parte con nù erotikà e ora prosegue in altre vesti. Credo che uscire dai confini della propria disciplina sia indispensabile, se si vuole tentare di raccontare la complessità della contemporaneità.

Lo scopo è quello di proporre uno spazio e un tempo di riconnessione col proprio corpo, parte fondante dell’esperienza vitale. Pratica corporea intesa al di là di una prospettiva puramente edonistica, ma con una forte aderenza a tutte quelle pratiche del sentire che favoriscono l’ampliamento di quello sguardo che ci permette di sentire, attraverso il corpo, l’altro come simile a noi.

ig: nùerotikà
sito: nuerotika.it

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