Quattro consigli di lettura e uno di ascolto!

Pablito El Drito | Agosto, 2023 | them


Murray Bookchin, Dall’urbanizzazione alle città, Eleuthera

Curato da Debbie Bookchin, figlia dell’autore, il libro appena pubblicato da Eleuthera è una storia della città, ma soprattutto del concetto di cittadinanza, unica e originale. In contrapposizione con la maggioranza dei teorici che hanno visto nella città un fenomeno squisitamente economico e funzionale, Murray Bookchin invece ricollega la nascita della città al concetto di democrazia diretta, di autogestione o autarchia. Partendo dall’analisi della democrazia ateniese – maschile e basata sulla schiavitù – ripercorre la storia delle pratiche municipaliste medioevali (in particolar modo italiane), delle sezioni rivoluzionarie parigine del biennio 1793-1794 fino ai town meeting del New England nel XIX secolo. L’approccio di Bookchin è multidisciplinare: nelle quasi 400 pagine di questo libro fondamentale per il pensiero socialista e libertario convivono ragionamenti di carattere storico, filosofico, politico, economico, ecologico e antropologico. Ma quel che stupisce è la qualità della ricerca del teorico newyorkese, che oltre a questo classico – la cui prima edizione risale al 1987 – ha pubblicato una ventina di libri, divenendo un punto di riferimento imprescindibile per i movimenti controculturali e politici globali. “Dall’urbanizzazione alle città” non è un libro di filosofia della storia, ma piuttosto di teoria politica, che a partire dagli esempi storici cui sopra ho accennato individua linee di azione rivoluzionarie applicabili ora e subito. E infatti le teorie di Bookchin hanno avuto enorme influenza sull’esperienza del Rojava (a lui si ispira esplicitamente Ocalan), ma anche sul municipalismo rivoluzionario in Chiapas e in generale sui movimenti antiglobalizzazione degli ultimi decenni. Per questo non posso che consigliare la lettura di questo importante lavoro teorico.

Aa. Vv., “Tenebre future”, La nuova carne

Generalmente non amo i racconti, tantomeno le antologie di racconti e, a dirla tutta, neanche i mix tra i generi letterari. Ma in questo caso, visto che “Tenebre future” è stata messa insieme da Alessandro Pedretta – di cui ho già recensito a suo tempo “Golgota souvenir” – insieme a Stafano Spataro, ne ho iniziato la lettura cercando di andare oltre le mie idiosincrasie e preconcetti. Il mio sforzo iniziale è stato ripagato in quanto buona parte dei testi che seguono il filo rosso della distopia rivelano notevoli qualità immaginifiche e letterarie.

I racconti – sedici in totale – spaziano tra fantascienza, horror, fantastico, weird fiction, splatter, grottesco e scrittura sperimentale. Li hanno partoriti veterani come Paolo di Orazio, Alessandro Manzetti, Luka B. Kremo, Sandro Battisti, Alessandro Forlani e Maico Morellini, ma anche quasi esordienti di grande talento, che i nostri abili curatori hanno saputo stanare negli angoli più disparati della nostra penisola, terra fin troppo fertile di catastrofi e scenari di morbosa negatività.

“Tenebre future” è un prodotto audace, che maneggia il tema della catastrofe con ironia e stile. Non ho dubbi che piacerà ai frequentatori dei generi “borderline” di cui ho già ho fornito le coordinate. Ma, vista la qualità letteraria e speculativa di alcuni suoi scritti, può travalicare il pubblico affezionato alla letteratura di genere e conquistare simpatie al di fuori della nicchia di appassionati in cui nasce.

Petr Kropotkin, “Campi, fabbriche, officine”, Eleuthera

Se il Kropotkin naturalista mi era già noto grazie alla lettura di “Il mutuo appoggio. Un fattore dell’evoluzione”, sempre edito da Eleuthera, grazie a questa nuova edizione di “Campi, fabbriche, officine” ho fatto conoscenza del Kropotkin economista e scienziato sociale. Il libro appena ripubblicato dalla casa editrice milanese è una riduzione dell’originale, che conteneva una notevolissima mole di dati che ne appesantivano la lettura, ma è arricchita dal commento del pensatore libertario britannico Colin Ward, che del russo è stato non solo esegeta ma anche ideale continuatore a livello teorico. Lo scienziato russo riteneva che fosse possibile rivoluzionare il mondo e raddrizzarne le storture grazie all’applicazione delle moderne tecniche scientifiche e di una diversa organizzazione sociale, non più piramidale, ma basata sull’orizzontalità. Grazie all’integrazione del mondo rurale e di quello industriale, a un’educazione che non separasse lavoro fisico e lavoro intellettuale e a una struttura politica decentralizzata secondo Kropotkin si sarebbero potute porre le basi per un nuovo ciclo della storia umana. Il libro è un grande classico, ma soprattutto un testimonianza di un mondo a venire non così utopistico. In più ha il merito già alle fine del diciannovesimo secolo di porre grande attenzione al tema ecologico, divenuto così centrale nel dibattito pubblico degli ultimi anni.

Luca Falorni, “Abituali. 21 (più uno) racconti da bar”, Felici Editore

Prendeva polvere da qualche mese il libro di Luca Falorni di cui mi accingo a parlare, perché è nota la mia scarsa simpatia per i libri di racconti. Ma l’attesa non è stata vana, in quanto, anche se con un anno di ritardo, infine il libro l’ho letto e devo dire assai goduto. “Abituali. 21 (più uno) racconti da bar” mi ricorda un po’ “Bar sport” del bolognese Stafano Benni, il primo libro-concept a raccontare il luogo di socialità per eccellenza – il bar – ad essermi capitato sotto mano da adolescente. Benni è un gran cazzeggiatore, colto eppur popolano. Uno che ama giocare con le parole. Esattamente come il labornico Falorni, che tratteggia con il suo amabile vernacolo storie, storielle e storiacce ambientate nei bar di varie località, in particolare nelle sue due località favorite, quella natale e quella affettiva: Livorno e Milano. Gli scritti raccontano sapori, colori, odori, usi e costumi di ventuno bar diversi, ma soprattutto la variopinta umanità che bazzica questi luoghi. L’attenzione è per la cosiddetta fauna locale, gli eterni presenti/perdenti, quelli che inevitabilmente diventano macchiette oppure si confondono con la tappezzeria. E Falorni tappezzeria si fa per noi, per raccontarci, con il distacco asettico di un biologo o di uno scienziato sociale, ma senza mancare di ironia, quanto succede tra le mura degli abbeveratoi della penisola, tra un drink e l’altro. L’autore, buon osservatore che di bettole ne ha frequentate parecchie, dà sfoggio della sua familiarità con i personaggi che popolano questi luoghi. Inoltre, da voracissimo lettore e appassionato cinema, infarcisce le sue storie con mille citazioni, di cui sono sicuro di cogliere solo un’infima parte. Libro gustoso, da leggere al bar o sotto l’ombrellone, con l’immancabile drink a farvi compagnia.

Domestic Arapaima, La cuadra, Sonic Belligeranza

Sonic Belligeranza è l’etichetta elettronica più eclettica e matta nel panorama italiano. E l’incontro con i livornesi Domestic Arapaima non fa altro che confermare questa mia tesi. In “La cuadra” doppio dieci pollici, ennesimo progetto editoriale di quel fuori di testa di dj Balli, jazz, cool, country, balkan, musica araba, lirica, bangra, classica, liscio, braindance, funk, prog, bleep, death metal, punk, eurodisco, hardcore, gabber, post hip-hop, screanzati rumorismi, citazionismi & situazionismi vanno a comporre un delirante patchwork spahetti-breakcore in undici atti. Divertente come un giro sul calcinculo dopo un magna-magna di trip e spiazzante come un invito a cena a base di trippa vegan, “La cuadra” è un’esperienza vinilico-psichedelica che raccomando a tutti i drogati di vinile.

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