Avremo anche giorni migliori

Chiara Sonzogni | Gennaio, 2020 | them


Storia di un incontro inaspettato e straordinario

Il primo nome che ho registrato, in questo inizio anno, è stato quello di Zehra Doǧan. L’incontro con le sue opere è avvenuto per caso, al Museo Santa Giulia di Brescia, spinta da un moto di curiosità e dal freddo di un pomeriggio di gennaio.

Come spesso accade quando mi lascio guidare solo dall’istinto, l’incontro è stato straordinario.

Zehra ha documenti turchi, ma la sua vera cittadinanza la porta scritta nel DNA. Viene dal Kurdistan, un paese che non si trova sulle carte geografiche, ma in una promessa di indipendenza di un centinaio di anni fa, non più mantenuta. I curdi infatti, dalla fine dell’Impero Ottomano del 1920, stanno combattendo una dura lotta contro lo Stato Turco che a suon di massacri e distruzioni, minaccia la loro esistenza, negandola.

Zehra difende il suo popolo, con le armi che possiede: il disegno e la parola che usa per riportare la realtà dei fatti. Doǧan è giornalista e artista, ha solo trent’anni, di cui due passati in carcere (dal febbraio 2017 al febbraio 2019), colpevole di aver raccontato la distruzione della città curda di Nusaybin ad opera dello Stato, nel luglio del 2016.

Rinchiusa prima nel carcere femminile di Amed, poi in quello di massima sicurezza di Tarso, Zehra ha condiviso la prigionia con intellettuali, artisti e giornalisti e ha trasformato la prigionia in un percorso di lotta e resistenza, alimentando ogni giorno il proprio processo creativo, strumento per testimoniare la realtà. Lo ha fatto con i materiali che aveva a disposizione, trasformando gli oggetti della quotidianità e dandole un senso. I disegni e le parole trovano spazio su fogli di quotidiani e lembi di tessuto, ricavati da lenzuola e vestiti, i colori sono quelli del sangue mestruale, delle spezie, del caffè e della linfa di rucola o di cavolo, il tratto è quello di una semplice matita, di una penna o di qualche filo da ricamo

Le opere esposte, nonostante siano veicolo di messaggi politici forti e frutto di un’emotività profonda e ferita, manifestano una semplicità disarmante, come se fossero state prodotte dal cuore di un fanciullo. Sono molte e diverse, anche se l’arco temporale di creazione è breve. I suoi lavori sono narrazioni in codice, perché cariche di simboli (lo scorpione-Stato, la Mano di Fatima come protezione, i ventri e le macchie), i soggetti sono prettamente femminili, perché è alla donne che Zehra dedica la sua attività esortandole così “Scriveremo senza pensare a cosa diranno gli uomini”, confidando con cocciutaggine e ottimismo nella potenza liberatoria dell’arte e nella possibilità di cambiamento.

La mostra è una finestra spalancata su un mondo molto vicino a noi, strettamente legato alla nostra storia contemporanea, eppure sconosciuto o volutamente poco raccontato. Questa volta però, davanti agli occhi grandi e magnetici delle donne di Zehra, distogliere lo sguardo è difficile, anzi è quasi impossibile.

Se le opere di Zehra hanno potuto “evadere” dal carcere con regolarità, confuse nella biancheria da lavare data in consegna alla madre, lei è uscita dal carcere solo un anno fa e ora vive in esilio, a Londra. La sua prigionia ha scosso il mondo del giornalismo e dell’arte. Sono stati molti gli artisti e le associazioni che si battute per la sua liberazione, tra cui Amnesty International e Banksy che le ha dedicato un murales a New York: il Bawery Wall.

Esco dalla mostra chiedendomi:
“Dove sono stata mentre accadeva tutto questo, mentre lei lottava anche per la mia libertà? Come ho potuto arrivare inconsapevole e impreparata all’incontro con Zehra?”
La risposta spetta solo a me.

Nel frattempo consiglio a chi arriverà in fondo a queste righe di approfittare della straordinaria opportunità di vedere le opere di Zehra nella mostra “Avremo anche giorni migliori”, al Museo Santa Giulia di Brescia, aperta fino al primo marzo. 

Perché ciascuno tra di noi, tra di loro, tra di voi, deve continuare a sostenere lo sguardo di una storia che pesa sempre di più

Sabato 23 novembre 2019 Zehra Doğan è stata protagonista di un appuntamento presso il Museo di Santa Giulia, in cui ha realizzato dal vivo in presenza del pubblico il ritratto di Hevrin Khalaf, attivista per i diritti delle donne e in prima linea per il riconoscimento dell’identità del popolo curdo, uccisa il 12 ottobre 2019 . Le pagine del giornale utilizzate come supporto dell’opera sono dei giorni in cui la notizia dell’uccisione è stata diffusa dai media. La performance ha accolto 200 visitatori e l’opera prodotta è inserita nel percorso espositivo della mostra.

Le foto della performance sono di Christian Penocchio – Comune di Brescia

profilo Facebook dell’artista – freezehradogan

Un commento su “Avremo anche giorni migliori

  • Meraviglioso articolo ricco di carica emotiva e di fatti. Grazie ! Stimolamte della femminilità primordiale

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