Cosa ho capito del sound design per un fashion show

Alessandro Volandi | Aprile, 2019 | them


Durante la scorsa Design Week, mi è stato chiesto per la prima volta di poter utilizzare una mia selezione musicale per un evento di moda. Nello specifico si è trattato di Afro Walk, una sfilata multibrand organizzata da Afro Fashion Milano che si è svolta tra Duomo e San Babila inaugurando una modalità inedita di produrre uno show. I modelli hanno sfilato lungo Corso Vittorio Emanuele, senza passerella, alla luce del sole, con la voglia di comunicare una visione alternativa del vivere il concetto di moda (e indirettamente un nuovo storytelling sul continente africano, ma questa è un’altra storia).

Questo è il mixtape utilizzato per Afro Walk.

Questo evento ha attivato nella mia mente l’idea di produrre il sound design per un fashion show. Così ho iniziato a fare ricerca, ho scoperto chi sono i più quotati dj e sound designer in questo settore, ho letto interviste, quindi ho ascoltato tonnellate di musica nuova, e sono rimasto affascinato da questo mondo. Mi è tornato in mente Lele Sacchi, uno dei dj più rappresentativi della nightlife milanese degli ultimi vent’anni, che
nel suo libro “Club Confidential”, all’inizio del capitolo intitolato “Milano” scrive: “Non puoi sfuggire. Quando cresci artisticamente a Milano arriva sempre il momento in cui entri in contatto con la moda. Un universo in
grado di schiacciare le altre arti ma allo stesso tempo, un’opportunità.” Insomma, moda e musica hanno una relazione speciale. Lo sa ogni musicista e ogni stilista, lo sappiamo ancora meglio se abitiamo in questa città.

Relazione
Il legame tra fashion e sound designer è basato su un equilibrio delicato e richiede una buona dose di coraggio da entrambe le parti. Lo immagino ricco di scambio e di significati, emozionante.
Un* stilista tipicamente lavora ad uno show che in meno di un quarto d’ora deve rappresentare le idee di un’intera stagione, il sound designer deve riassumere quelle idee in suono.
È quindi necessario un rapporto di fiducia. Non a caso molti dei top sound designer della moda hanno una relazione a lunga durata con i fashion designer con i quali collaborano. Un esempio per eccellenza è Michel Gaubert, che ha iniziato a lavorare con Karl Lagerfeld nei primi anni Novanta (su Spotify c’è una playlist con una selezione di brani da lui utilizzati, non è specificato se per Chanel, Dior, Céline, Vuitton o altri).
Solo col tempo è possibile entrare in quella dinamica per cui ogni volta che il selector sente un brano che potrebbe funzionare bene per quel brand lo mette subito in playlist, perché ne conosce già estetica e gusto.

Ricerca
Un aspetto in cui mi ritrovo del tutto è la ricerca: un processo senza fine. Tradotto: non si arriva mai. Internet, radio, negozi di dischi, concerti, magazine, film, sono tutte potenziali occasioni di scoprire nuova musica. Sta tutto tenere le orecchie sempre aperte. Oggi chiunque può accedere alla quasi totalità della musica mai prodotta. La differenza sta tutta nella curiosità e come sempre nel gusto.
Tuttavia, nella ricerca di cosa è adatto, a volte le preferenze personali di un dj devono essere messe da parte. La costante è che bisogna ascoltare tanta tanta musica, nuova, vecchia, anche cose che non ascolteresti per piacere, ma che potrebbero funzionare bene all’interno della colonna sonora dello show.

Concetto
La chiave di una buona soundtrack è quel brano che rappresenta l’essenza della collezione. Da quel singolo brano si costruisce la selecta. Proprio come in un djset, il primo pezzo è una dichiarazione, deve esemplificare quello che si vuole comunicare. Quando la prima persona che indossa il primo abito esce in passerella, deve essere chiaro il messaggio dello stilista. La bravura del sound designer sta nel creare da lì un flow che abbia un’identità unica. Quando lo spettatore lascerà lo show deve avere la sensazione che la musica sia stata prodotta su misura per quella sfilata particolare.


Ha ragione chi dice che il settore musica ha tanto da imparare dalla moda, dal suo modo di comunicare e dalla capacità di fare culto attorno ad un mercato intero, non solo sul singolo brand.
Per citare nuovamente Michel Gaubert: “Amo la devozione quasi religiosa e gli sforzi e le energie che vengono spesi per realizzare una sfilata, non ci sono limiti a quello che si è disposti a fare perché lo show sia come deve essere.”

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